Scheda di un mainframe anni ‘60

 

I primi computer di seconda generazione sostituirono quelli della generazione precedente che utilizzavano come componenti attivi gli ingombranti tubi termoionici; in essi erano invece erano utilizzati i transistor di dimensioni molto minori.


Oltre alla notevole riduzione dei volumi questi nuovi computer beneficiarono anche di una forte diminuzione dei consumi energetici e la conseguente riduzione del colore prodotto.


Come si vede dalla foto i transistor erano saldati su piccole schedine che potevano essere inserite in appositi “backplane” provvisti di connettori a pettine; nella parte posteriore della schedina sono visibili i contatti dorati per la connessione al backplane e i collegamenti fatti con piste di rame stampate e stagnate.













Nella parte posteriore del backplane su cui erano inserite le schede con i componenti, c’erano una infinità di “spadini” ai quali erano connessi i contatti delle schedine; tutti i componenti attivi e passivi delle schedine attraverso i contatti facevano quindi capo agli spadini e tra di essi venivano stesi dei fili finissimi ricoperti di con una sottile guaina isolante; essi “spellati” alle estremità e “arrotolati” sugli spadini realizzavano tutte le connessioni necessarie; l’arrotolamento e lo srotolamento (quando era necessario rimuovere qualche connessione) veniva fatto a mezzo di particolari strumenti manuali o anche elettrici visibili qui sotto. Questa tecnica si chiamava wire-up .





































Il mainframe di seconda generazione 7070 IBM sul quale ho programmato a partire dal 1959 aveva 40.000 transistor ciascuno dei quali era saldato su schedine simili a quelle della foto e i backplane contenuti ed incernierati in grossi armati erano esattamente come quelli della foto sopra.